LE VICENDE DI'SOR ULISSE, DELLA SU'MOGLIE E DI'SU'FIGLIOLO TELEMAHO-8 GIUGNO 2011, SCUOLA DIAZ

Perché l’Odissea in vernacolo.

Capisco che molti di voi si sentano un po’ disorientati da questa mia scelta, ed anch’io l’ho meditata a lungo, ma a volte le cose non capitano per caso, e dopo aver fatto le mie riflessioni  (che vorrei più avanti condividere con voi) in un paio di domeniche ho buttato giù un canovaccio che è stato via via  ritoccato fino ad arrivare alla STESURA DEFINITIVA di questa mia opera prima (che sarà anche l’ultima).
Dario è arrivato uno dei primi giorni di scuola con un suo librone contenente i Poemi epici per eccellenza:
Iliade, Odissea, Eneide; e mi ha detto:- Ce li leggi?-
Quasi obbligatoria la scelta dell’Odissea; sicuramente meno violenta, meno complicata, meno noiosa anche.
Sul complicato mi sono dovuta ricredere perché il librone di Dario era quasi una parafrasi ed ho molto spesso dovuto fare salti mortali per riportare,  in tempo reale di lettura, il racconto a misura di bambino di terza elementare.
Ma siamo arrivati alla fine, palpitando per l’eroe greco, ma commuovendoci di più per il povero Argo, meravigliandoci per le bizzarrie degli dei che appaiono, scompaiono e si travestono, ma ancora di più per le sciocchezze combinate da gente che apre vasi che non dovrebbe toccare o mangia buoi mentre il capo indiscusso dorme….
E mentre il racconto andava avanti, progrediva anche la produzione di disegni (si dovrebbe dire “rappresentazioni grafiche”, ma io sono ancora della generazione che lavora in una “scuola elementare” e non in una “agenzia formativa”, per cui perdonatemi!!!!) soprattutto di Polifemo, senz’altro il più gettonato. Come fare allora per condividere con voi tutto questo materiale? Non potendo bissare il successo dei dinosauri (e poi l’argomento era completamante diverso) ho abbinato il poema alla spontaneità dei bambini e  al mio “essere” fiorentina
Ed è venuto fuori quello che l’8 di giugno vi mostreremo e che poteva essere sottotitolato “alla scoperta del vernacolo fiorentino”.
Poche considerazioni: siamo ormai coscienti che la cultura popolare negli ultimi decenni, abbia subito un fiero colpo.   I dialetti, considerati serbatoio dell’immaginario collettivo, sono ormai agonizzanti in tutt’Italia sopraffatti da un linguaggio impoverito, nel quale la televisione ha giocato un ruolo predominante con orribili neologismi e l’introduzione massiccia di terminologie straniere.
“..se la quasi scomparsa di congiuntivo e di condizionale è cruccio di filologi e linguisti, l’abitudine sempre più frequente di ricorrere ad espressioni asettiche e astratte al  posto del sano e colorito linguaggio legato all’immagine, dovrebbe essere un cruccio di tutti, in quanto, inesorabilmente, ci separa da quella carica emotiva e vitale che ogni parola racchiude in sé.  Privarsi di questa carica significa abbandonare le proprie matrici culturali, rinnegare le proprie radici, perché il linguaggio riflette lo spirito del popolo che lo ha coniato” (da un articolo di Matilde Jonas).
I Fiorentini sono critici terribili e mordaci, senza peli sulla lingua, lasciano il segno anche a distanza di secoli, parlano con parole che furono di Benedetto Varchi e di Boccaccio, di Machiavelli e Renato Fucini, di Dante, Lippi, Giusti, Collodi e molti altri; hanno trasposto nel loro vernacolo – padre della lingua italiana – non soltanto la propria personalità, ma anche la storia della loro Terra.  Molte espressioni, infatti, si ricollegano ad eventi storici, a personaggi più o meno famosi del passato, ed è interessante e curioso scoprirne l’origine, molto spesso dotta.
Con questa piccola recita senza nessuna pretesa, ho voluto in qualche modo rendere omaggio alla mia Città e a tutti quelli che, come me, non rinnegano le proprie radici.


LE VICENDE DI’ SOR ULISSE,
DELLA SU’ MOGLIE
E DI’SU’ FIGLIOLO TELEMAHO
(Firenze, scuola Diaz, 8 giugno 2011 ore 17,00)

Lo “spettacolo”, un po’ strano e particolare a dire il vero, si rifà all’Odissea di Omero che abbiamo letto in classe durante tutto l’anno.
Per raccontarvela però, abbiamo pensato di ambientarla non nella “petrosa Itaca” o in giro per il Mediterraneo, bensì “di là d’Arno”in un seminterrato di Borgo San Frediano, dove i nostri personaggi, pur rispettando le vicende del Poema, parlano in vernacolo fiorentino ed hanno caratteristiche “leggermente” diverse dall’originale.
Nascono così cinque brevissime scenette nelle quali troveremo anche battute divertenti, ma soprattutto la spontaneità dei bambini della terza Diaz che si sono dimostrati attori di teatro in vernacolo di prim’ordine.
Ognuno di loro ha scelto il proprio personaggio e ha seguito le pochissime indicazioni suggerite dal regista che invece si è fatto delle belle risate durante l’allestimento di questa “performance”.
Buon divertimento anche a voi.
Capitan Laura e i suoi Tigrotti.

          SCENA PRIMA     “I LAMENTI DI POLIFEMO”
  SCENA SECONDA     “LA TELA”
      SCENA TERZA     “DA CIRCE”
    SCENA QUARTA     “L’ULTIMO BANCHETTO DEI PROCI”
    SCENA QUINTA     “…DOPO LA VENDETTA”

Questo lavoro è dedicato a mia mamma con la quale mi diverto, ogni tanto, a parlare in vernacolo, ed a tutti i fiorentini che sono fieri di esserlo.